lunedì 11 aprile 2011

Primati tatuati

Ero in treno e ho dovuto assistere, come altri viaggiatori, allo spettacolo allucinante di un gruppetto di energumeni (sulla trentina, mica giovanissimi!) reduci dal Vinitaly che secondo alcuni (troppi) è un posto dove andare ad ubriacarsi a buon mercato(*). Urlavano, bevevano, importunavano le donne e sferzavano il controllore, il quale - sollecitato dagli altri passeggeri esasperati - andava a chiedere il rispetto del luogo. La scena mi ha innervosito ma anche ispirato.

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(*) secondo me è anche lecito chiedersene il motivo. Non sarà forse (sottolineo forse) che quello della fiera gigantesca e mainstream non è il modo giusto di concepire, vivere e presentare il vino?



Quello che mi spaventa
è il ghigno da uomo stupido
di chi mi siede di fronte;
vestito in fondo di niente
anche s’è firmatissimo il suo presente,
ma ciò che spoglia è l’assenza di domande.

Quello che mi deprime
è l’assoluta assenza di spessore,
come ombre opache dal televisore,
di scimmie che si spostano in gruppo
e parlano di niente come tutto,
e poi pensare che non cambiano

come non cambia questo posto,
e che in un certo senso è questo
un bell’indicatore di contesto,
che nelle facce si riflette a volte
un tipo di malessere comune,
un assoluto vuoto di ragione.

Quello che m’indispone
è quell’atteggiamento da primati,
poco pelosi e molto tatuati,
di piccoli grandi fratelli
che l’unico linguaggio che comprendono
non è dei libri, ma quello dei randelli.

E’ allora che mi prende una vergogna
e il senso di tristezza più profonda
perché civile, prima ancora che bandiera,
è un codice del vivere comune
se non c’è il quale tutto quanto muore.

E si procede adesso a testa bassa
sulla via ch’è propria del crepuscolo,
se il vertice è in cancrena
e ciò che è sotto
o scende a patti, o scrive versi,
o è pari a questo.

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